giovedì 15 agosto 2013

Parole di un'amica



È da una ventina di giorni che sono tornata dall’Africa e solo ora mi trovo a riflettere sul tempo passato in questo paese tanto diverso dal nostro, quello che io amo chiamare “mondo parallelo”. Grazie ad una mostra fotografica organizza da Elisa sono venuta a conoscenza di Nyakipambo, un villaggio che non sapevo neppure esistesse. Per informarmi un po’prima di partire ho cercato in internet qualche informazione ma non ho trovato neppure la sua collocazione e quindi ho pensato “boh, forse ho scritto male il nome: Nyakipambo, dove andrà la y?”. Invece è talmente piccolino che non si trova in internet e neppure sulla guida lonely planet. Per raggiungerlo bisogna prendere “l’autostrada Africana” da Iringa in direzione Makambako e dopo qualche ora girare sulla sinistra in una strada un po’ dissestata.
Oltre ad Elisa con me c’erano Erika, Sara e Barbara e con loro siamo state in questo villaggio dieci giorni. Non so neppure da dove incominciare, ma penso che il mio primo pensiero sia giusto dedicarlo a Baba Liberatus, che ora sorveglia la missione dal cielo; un prete, un amico, un papà, un nonno che ci ha accolto a braccia aperte e fin da subito ci ha aperto la sua casa facendoci sempre sentire come se fossimo a casa nostra.
Nel cortile della missione, che per me inizia con un grande albero dai fiori rossi, c’erano sempre tanti bambini. Mamma mia che occhi, che sguardi, che sorrisi, non li dimenticherò mai. Vivaci, curiosi, attivi, sempre pronti a giocare, a disegnare, a saltarti addosso. Così vivi che ti conquistano al primo sguardo, ti bruciano col calore dei loro occhi e dei loro sorrisi. Io in particolare mi sono innamorata di due fratellini, Alexi e Angy (non so neppure se i loro nomi sono esattamente questi) orfani di madre.


Mi sono sentita a casa non solo all’interno della missione ma anche in ogni singolo istante in cui camminavo per le strade di Nyakipambo. Spesso incontravamo donne che lavoravano nei campi o uomini che portavano a pascolare il gregge e non appena si accorgevano della nostra presenza ci venivano incontro e ci accoglievano nelle loro “case”. Case molto semplici ma sempre aperte a noi stranieri. La loro voglia di parlare con noi penso che nasca dalla curiosità di conoscere tramite i racconti il nostro mondo e capire come e dove viviamo, perché a differenza nostra non possono viaggiare. Anche se il dialogo non durava molto perché in swahili oltre alla domanda “Jina laku nani?” (come ti chiami) non sapevo dire altro, per me erano momenti ad alta intensità emotiva, per farvi capire era come se per un istante due mondi paralleli si incontrassero anche solo per un secondo, ma comunque era un secondo in comune.
Ho fatto di tutto per portarmi un po’ di Africa a casa, ho scattato mille foto, ho comprato i loro tessuti, le loro collanine e mille altre cose ma niente può sostituire gli odori, i colori, il cielo e l’ospitalità che ho provato in questi giorni.
Grazie ragazze, grazie Elisa, grazie Baba e grazie Nyakipambo, avete conquistato una parte del mio cuore e vi porterò per sempre con me.


Francesca


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